Il fuoco che ti porti dentro

Ballare, le piace il ballo. E le cozze, e il latino. Parlare In maniera diretta, con le parolacce. La sua presenza pesa a Napoli, ovunque. In una seconda casa al mare, in un monolocale a Milano. C'è, e si sente. Poi la diffidenza estrema per gli altri. La famiglia, la provenienza, il farsi odiare dai figli. Angela, un personaggio riuscitissimo, nonostante sia un memoir. La forza di questo libro sta nell'aver descritto come una commedia, in una cornice tragica, il dramma di un rapporto madre-figlio senza concedere nulla al sentimentalismo. Tutto scorre come un fiume, e quando attraversa la città, scompare l'dilliaco verde per mostrare plastiche, cacche, melma. Poche lacrime, e il narratore le lascia scorrere soltanto di spalle, alle note di una canzone. Il resto si srotola nell'incedere della vita così com'è. Una benedizione per i miei occhi, per i miei sentimenti: raccontami il dietro le quinte della commedia e ti amerò per sempre. La vergogna che si prova per la propria madre non è soltanto un voler dissacrare la questione famigliare, un lavare i panni sporchi fuori da casa tua, no, qua c'è il massimo rispetto per la persona che stai raccontando: l'irriducibile volontà di essere come si vuole, fino alla fine. Raccontare la madre, allora per Franchini è stato un tratteggiarla con dialoghi reali, parolacce e maledizioni incluse. Ci vuole coraggio raccontare la realtà, ci vuole stile nel costruire un personaggio, ci vuole amore nel renderla un'opera d'arte, per poi dimenticarsene. Antonio Franchini Il fuoco che ti porti dentro Marsilio

Credo di non aver mai letto niente di simile al libro che ha scritto Antonio Franchini. Un memoir sulla madre che inizia con questa frase: Benché da molti sia considerata una bella donna, mia madre puzza. E dall’incipit si intuisce che nelle pagine a venire non ci sarà nulla di scontato, di banale, di retorico. Infatti, dalla terza riga in poi questo libro ti trascina in una commedia napoletana dai toni sempre accesi che alternano tragedia e comicità, composta da una parte dalla lingua dell’autore che racconta sua madre in un italiano forbito ed elegante, e dall’altra dal dialetto volgare e colorito di questa donna che impropriamente ingiuria, offende, giudica. Una madre “di rabbia e furia” che dentro si porta il fuoco e pare bruciare tutti quelli che le stanno intorno, che non fa sconti a nessuno, nemmeno ai figli, che sputa sentenze su tutti. Un diavolo che si chiama Angela, per il bizzarro gioco delle contraddizioni. Eppure é una donna che suscita simpatia: negli amici che il giovane Antonio porta alla sua tavola, nel condominio milanese in cui si trasferisce per avvicinarsi al figlio, nell’ambulanza che la carica quando sta male, e alla fine anche nel lettore. Almeno a me ha fatto questo effetto: mi ha fatto sorridere parecchio e mi ha fatto anche tenerezza, questa donna mossa per tutta la vita “dalla rabbia che nasce dal senso di inferiorità, dall’inadeguatezza”. Le pagine più belle quelle dei dialoghi tra madre e figlio, ma soprattutto i monologhi materni, lunghi sproloqui senza senso, le cantilene ripetute ad ogni visita del figlio. Da leggere!